Storia della proprietà


Nel periodo medioevale la proprietà fece parte del feudo di Casteggio, in seguito passò sotto il dominio dei Visconti e, con gli Sforza, fu annessa al ducato di Milano.

Tutta la zona dell’Oltrepò Pavese subì le dominazioni che le monarchie europee esercitarono sui territori lombardi:la Spagna nel cinquecento e nel seicento, l’Austria durante la prima metà del settecento e la Francia, con Napoleone, dalla fine del settecento fino al 1814. Unica variante fu l’annessione dell’Oltrepò, insieme al Piacentino, al regno di Sardegna nel 1743, successivamente al trattato di Worms, che ne stabilì l’assegnazione a Carlo Emanuele III di Savoia, come ricompensa dell’aiuto fornito all’Austria nella guerra contro i Borbone di Francia.

Nel 1814, al termine della dominazione francese, l’Oltrepò ritornò ai Savoia fino all’unità d’Italia del 1861.

Ancora oggi esistono testimonianze dell’avvenuta annessione al Piemonte: infatti, tutto l’Oltrepò, dipende tutt’ora dalla diocesi di Tortona, città piemontese, mentre, territorialmente, appartiene alla provincia di Pavia, che si trova in Lombardia. L’Almo Collegio Borromeo di Pavia acquistò la tenuta, ritornata sotto la giurisdizione di Casteggio e Calvignano, dal nobile Crispino Vitali nel 1698, cedendo in cambio la proprietà di Santa Maria della Scala, situata nel Siccomario pavese.

La permuta fu motivata dal desiderio di alienare una proprietà, situata in pianura e soggetta a frequenti inondazioni, a guerre e a passaggi di soldati, con conseguenti danni alle coltivazioni, ma soprattutto dalla necessità di entrare in possesso di terre in collina, adatte alla coltivazione della vite, per arrivare a produrre vino sufficiente a soddisfare le necessità del Collegio, dei convittori e del personale. La Tenuta ebbe un momento di grande difficoltà verso la fine del 700 e i primi anni dell’800, perché saccheggiata dalle truppe di Napoleone. Dopo le vittorie francesi, a Casteggio e Montebello, molte colture subirono per anni notevoli danni.

La Villa fu anche confiscata come bene di origine ecclesiastica, ma il Conte Giberto Borromeo Arese riuscì a dimostrare che la Tenuta era un bene appartenente al suo patrimonio privato e non del Collegio Borromeo, facendo così annullare il decreto di confisca. Molte proprietà terriere vicine, come ad esempio il podere di Castel del Lupo, appartenuto fino al 500 al monastero di Santa Maria delle Cacce di Pavia, e ancora oggi esistente come azienda agricola, furono alienate come beni di origine ecclesiastica e trasferite al demanio dello stato, secondo una legge promulgata da Napoleone, codificata negli atti del Concordato tra Stato e Chiesa del 1805.

Nel libro del quarto centenario della fondazione del Collegio, edito a Pavia nel 1961, troviamo informazioni sul ruolo di imprenditore agricolo svolto dal Collegio, che investì molto nelle terre nel corso dei secoli. Nel saggio di Luigi Biasini e Pierluigi Spiaggiari “Proprietà, redditi e spese del Collegio”, viene descritta la tenuta dal punto di vista delle coltivazioni e delle sue vicissitudini storiche in rapporto alla vita del Collegio.

Per quanto riguarda la consistenza del fondo di Pegazzera, le scelte colturali, gli orientamenti produttivi, l’importanza della viticoltura e la descrizione degli edifici rurali, fonte preziosa è il testo “Tempi della terra“. Campi, acque e case nel pavese rurale dalla fine del 500 ai nostri giorni.

La proprietà, all’atto dell’acquisto, si estendeva per 6.928 ettari e, in seguito, secondo i dati catastali austriaci del 1723, arrivò a misurare 8.253 ettari. Comprendeva diverse cascine: la Mirandola, il Fontanone, la Massona, la Carbona, la Fornace e, per ultima, venne acquistata Prà di Volpe nel 1785, quando comparve per la prima volta nei libri dell’amministrazione del Collegio Borromeo.

Nel corso dell’800 rimase invariata, intorno ai 10.000 ettari, fino al 1908, come attestato dal catasto dell’epoca. La tenuta comprendeva boschi, prati e poderi con coltivazioni diversificate, alcuni edifici rurali ed una casa padronale, sul cui nucleo, probabilmente, fu poi edificata la Villa.

La coltivazione della vite, già presente come “aratorio vitato” (tra i filari delle viti si coltivavano cerali e leguminose), fu potenziata nel corso del 700 e dell’800, fino a raggiungere il 55% delle coltivazioni complessive.

I “Giornali di Pegazzera”, dagli inizi del 700 fino alla fine dell’800, riportano i quantitativi annui dei prodotti spettanti alla proprietà. La voce “vigneto” come coltura specializzata, compare solo nel 1908 e diventerà intensiva e dominante fino ad oggi.

La Villa


La Villa fu costruita tra il 1703 e il 1718 dall’Almo Collegio Borromeo di Pavia, che la destinò a residenza estiva dei convittori e la tenne in possesso, ininterrottamente, fino al 1967. La Villa comprendeva un parco con alberi secolari e una cappella in un’ala della costruzione, con un ingresso autonomo aperto verso il giardino.

Da una descrizione del 1879, sappiamo che la Villa comprendeva l’abitazione padronale, ma era anche il cuore dell’azienda agricola: oltre alle stanze della proprietà infatti, erano presenti un alloggio per il fattore del collegio Borromeo, le cantine, la tinaia, il torchio, i locali per l’allevamento dei bachi da seta e i granai, che occupavano probabilmente l’ala ad est del primo piano sopra il porticato, dove oggi vediamo una successione di piccole finestre.

Le varie attività si svolgevano sotto il controllo diretto della proprietà: il legame tra attività agricola e funzione residenziale era molto forte.

Oggi, invece, nonostante la centralità della produzione vinicola, la Villa ha le caratteristiche di raffinata eleganza, proprie di una residenza gentilizia. Nel 1967, i nuovi proprietari avviarono un’opera di restauro generale. Diresse i lavori l’architetto Carlo Emilio Aschieri, che riportò la Villa al suo antico splendore.

Gli attuali proprietari, nel 1993, hanno razionalizzato gli accessi, creando un secondo ingresso verso i giardini, mediante la costruzione di una gradinata in pietra e hanno destinato una vasta area ad uso parcheggio: adeguamenti necessari per attrezzare una struttura privata al fine di rispondere alle esigenze di funzionalità del presente.

Contemporaneamente sono stati riordinati i giardini all’italiana, arricchiti di piante ornamentali e sono state completamente rifatte le pavimentazioni all’esterno, in cotto nel cortile di accesso alla Villa e, in pietra, nei camminamenti del giardino.

La Villa è stata oggetto di una costante opera di manutenzione degli esterni, coperture e interni sono stati riallestiti con gusto sicuro ed elegante.

La tenuta


Nel 1967 i nuovi proprietari alienarono gran parte dei terreni, ma continuarono la produzione vinicola.

Gli attuali proprietari, dal 1986 ad oggi, hanno svolto un’opera costante di rinnovamento dei vigneti ed un attento adeguamento tecnologico nell’ambito dell’azienda vitivinicola.

La tradizione continua

Le caratteristiche del terreno calcareo argilloso, la presenza nella zona di marne azzurrognole con ricchezza di acque sorgive, l’esposizione soleggiata e riparata dei vigneti, permettono la produzione di un nettare genuino, apprezzato oggi, come in passato.

 

La cappella


Una Cappella annessa alla Villa fu costruita nei primi decenni del 700 e dedicata a San Carlo, fondatore del Collegio Borromeo a Pavia nel 1561. La costruzione è a doppia altezza: occupa l’ala destra dell’edificio e gode di un ingresso autonomo, rivolto verso il prato.

Probabilmente all’origine svolgeva la funzione di piccola chiesa aperta ai coloni della varie cascine: leggiamo, nel libro edito dal Collegio Borromeo nel 1992, che San Carlo, il cardinal Federigo ed i loro successori, fecero costruire oratori nei vari possedimenti, perché c’era molta preoccupazione per la vita liturgico – sacramentale dei coloni. Vengono citati gli oratori di San Re, Comairano, Lago dei Porzi e Pegazzera, come ancora oggi esistenti, giudicati degni di interesse artistico.

La pianta della Cappella è rettangolare, all’interno, però, gli spazi percepiti sono due: uno per le celebrazioni e l’altro per i fedeli, entrambi coperti da volte a crociera. Gli elementi verticali, i semi capitelli, le arcate e le cornici, che riquadrano a distanza le finestre, sono intonacati di colore grigio mentre, pareti e volte sono di colore chiaro e, in passato, erano ricoperte di affreschi, che non sono arrivati fino ai giorni nostri, purtoppo.

Il ruolo decorativo e sacro dell’ambiente è affidato ad un dipinto antico di pregevole fattura, con una festosa cornice in stucco, che rappresenta la Madonna con angeli. Ai lati dell’altare barocco si trovano due porte murate, che permettevano l’accesso alla Cappella dall’interno della Villa, con stipiti e cimase realizzati in marmi policromi di grande bellezza.

Vicino all’ingresso sono appesi a destra e a sinistra due stemmi a carattere sacro, di color porpora mentre, al lato destro dell’altare, vi è lo stemma sacro di San Carlo con il cappello, i cordoni e le nappe, la croce trilobata e la scritta “PAX”. Alla sinistra dell’altare appare uno stemma gentilizio a carattere laico, appartenente ad un membro della famiglia Borromeo.